martedì 21 febbraio 2017

C'erano una volta i critici...


C’erano una volta gli opinionisti, i critici cinematografici, gli esperti d’arte. E poi inventarono il web.
E non a caso non molto tempo fa Enrico Mentana, commentando gli interventi di qualche “hater” coniava il termine “webete”, sottolineando il fatto che spesso chi commenta e critica online non sempre lo faccia a ragion veduta, trattandosi frequentemente di persone qualunque che dietro lo schermo e la tastiera o, più semplicemente, con il dito su uno smartphone, vantano un sapere e un’arroganza che neanche Vittorio Sgarbi di fronte ad un’opera di Cattelan.
Purtroppo, o per fortuna, al giorno d’oggi ad una totale e assoluta libertà di espressione su qualunque argomento, chi si espone nello scrivere o nel dire (o nel fare!) una qualsiasi cosa spesso va incontro ad una serie di analisi , commenti, critiche, storpiature... 
E questo accade a un qualsiasi personaggio pubblico o che, suo malgrado, ottiene quei “cinque minuti di notorietà” moltiplicati per milioni e milioni di volte se consideriamo quanto un avvenimento potrà essere postato, ripostato, twittato, condiviso sulle bacheche, visionato su youtube e chi più ne ha più ne metta. 
Ciò che mi spinge a scrivere questo articolo è il fatto che più mi muovo sulla rete e più mi accorgo che chiunque si sente libero di dire (e scrivere) tutto e il contrario di tutto su qualunque cosa. 
Che sia un film, un libro, un fatto di cronaca, una canzone, un personaggio...
Ci sono persone in rete (perchè sempre di persone si tratta, ricordiamocelo) che a volte emettono giudizi verso altre persone, avvenimenti, fatti, senza porsi il problema che forse dietro quella situazione, quel fatto, quella persona ci sono altrettanti fatti, persone, emozioni, pensieri, sentimenti, circostanze di cui non se ne sa nulla, di cui vediamo solo l’aspetto pubblico.
Ma soprattutto, credo che la cosa peggiore sia fare tutto ciò con cattiveria, con il solo scopo di oltraggiare, distruggere, criticare o magari, peggio, divertirsi.
Io sono a favore della condivisione, dello scambio e trovo che sia meraviglioso che grazie agli strumenti tecnologici a nostra disposizione oggi possiamo essere contemporaneamente i molti posti diversi, nonostante le barriere fisiche; sono stupefatta che ci si possa incontrare con persone che si trovano momentaneamente in luoghi agli antipodi della terra, parlare lingue diverse e, in qualche modo, si riesca a capirsi; che sia possibile sapere e vedere cosa sta avvenendo all’altro capo del mondo, mentre io sono seduta sola qui davanti allo schermo del mio pc. E penso che tutti noi dovremmo cogliere l’utilità, la gioia, le opportunità e la libertà che tutto ciò ci dà.
Ma penso anche che tutta questa LIBERTA’ sia a volte utilizzata in maniera veramente superficiale e stupida.
Il fatto è che in molti si sentono liberi di commentare e dire al mondo tutto ciò che pensano, supponendo che al mondo interessi, ma soprattutto, non preoccupandosi minimamente di ferire chi potrebbe leggere. E non mi riferisco a chi in qualche modo fa un lavoro che gli richiede di fornire la propria opinione o a chi ha piacere di scrivere su argomenti di svariato genere, ma penso a chi giudica gli altri (o il lavoro di altri) con opinioni spesso caustiche e distruttive.
Mi è capitato recentemente, per esempio, di leggere commenti (ad essere gentili) "poco lusinghieri" verso la mamma del ragazzo gettatosi dalla finestra a Lavagna giorni fa; rea la signora di aver fatto un discorso al funerale che appariva un po' costruito, attraverso il quale sembrava voler colpevolizzare in qualche modo il figlio e lavarsene le mani della faccenda. Ho detto sembrava, e non è un mio giudizio ma, a detta di chi commentava, dal discorso della madre traspariva questo. 
Detto ciò, io non mi sentirei di giudicare; io non giudico, a malapena osservo. E credo fermamente  che chiunque non sia addentro la storia di questa donna, di questa famiglia, cui è capitata una tragedia immane, possa permettersi di giudicare né lei, né le parole che in quella circostanza le sono uscite dalla bocca.
Questo è un esempio, ma se ne potrebbero fare a migliaia di esempi di come il mondo della rete e dei social sia capace di accanirsi contro persone protagoniste di storie di cui probabilmente pubblicamente se ne conosce solo una parte, e di come ormai ci si trovi costantemente in un tribunale aperto ad ogni ora e in ogni luogo, pronto a giudicare chiunque sia a portata di clic, che si tratti di un fatto o di un film, di un brano musicale o di una persona. Con la stessa ferocia e impietosamente, con lo stesso astio e con lo stesso unico scopo.
Io mi chiedo: ma chi lancia una sua sassata nel web, un suo dardo contro qualcuno nella rete, un tweet di fuoco a commento dell'ultimo fatto di cronaca, si domanda mai chi andrà a colpire? Chi potrà sentirsi coinvolto o ferito delle sue parole? Chi potrebbe sentirsi seriamente minacciato e messo in discussione? 
"Le parole sono importanti" diceva qualcuno, e non solo il come si dice, ma anche il cosa si dice. Le parole hanno un peso, un significato. La comunicazione ha un mittente e un ricevente. Un significato e un significante che possono cambiare a seconda di chi riceve il messaggio. Ognuno di noi porta con sé una serie di significati, di valori, di emozioni e forse non ci si rende conto di quanto poche, banali, semplici parole possano pesare e risuonare nella testa di una persona. Farla sentire coinvolta, triste, arrabbiata, in colpa.
Pensiamoci ogni volta che diciamo o scriviamo qualcosa. E' un principio che sarebbe bene usare sempre quando ci si rivolge a qualcun altro, nel bene o nel male. Se lo facessimo, forse vivremmo in un mondo di relazioni più educate.

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